Peso | 0.167 kg |
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Dimensioni | 20 × 12.5 cm |
La fin du millénaire
€19.00
Costi per la spedizione…Nel labirinto di personaggi costruito da Arbia trovo ben delineata la demolizione di luoghi comuni deleteri, attraverso la straniante presenza a cornice della storia, di un coro tutto moderno e contrapposto: da un lato i borghesi, tranquilli del proprio bisogno e del proprio consumo, dall’altra i miseri e i diseredati, gli ultimi, i Reietti, dentro il confine di un’ansia cupa, certo vibrante della ricerca del senso di ogni gesto, che non si stacca dal cuore. Nebbia e desiderio, mentre gli occhi cercano invano il corpo di un volto nel cui sguardo riposare, senza dover pensare, agitare acque, ma solo nuotare verso la spada del sole, alba e tramonto di un unico luminoso orizzonte possibile… Di Giuseppe Arbia, personalità eclettica, cultore di varie arti, fine scrittore di racconti, ma di professione brillante studioso di Statistica, tra i più giovani Ordinari della sua materia, ho apprezzato con sincera meraviglia i quattro testi di Solo un istante (pubblicati da Nuova Cultura, n.d.r.), in particolare quello eponimo, profondo, tragico, con un agile e sintetico meccanismo teatrale e con l’occhio di bue puntato su monologhi di grande efficacia e rispetto del rito della scena, lancinanti e decisi come lame… In questo testo, più articolato e ambizioso, incastrato su più piani, con lo straniamento onirico, luci e ombre fin dal denso incipit, rifluisce la tematica centrale di Solo un istante: come i cavalieri della tavola rotonda, i personaggi, in una maturità difficile, nel deserto dell’esistenza comprendono di aver perso le ardite speranze della giovinezza. Per lo più le hanno sepolte e soffocate con vari impegni e situazioni, dal lavoro alle donne. Alberto, resta, invece, ancora in cerca della promessa di una dimora… Lancinante torna il grumo espresso dal titolo dell’altra raccolta: l’istante di un incontro sconvolgente in un normalissimo particolare di esistenza, qui ripresentato con i toni ossessivi che potrebbero ricordare da lontano tematiche di un certo teatro novecentesco soprattutto francese (ma in Italia con Betti e Fabbri) di tragico cristiano: «Non so, vorrei credere. Vorrei continuare a credere. Come ho sempre fatto tutta la vita. Ma poi la vita ti cambia. Ti mostra tante cose che non capisci, ti fa venire tanti dubbi. Vedi, la fede non è qualcosa che hai dentro, non è neanche qualcosa che si può dire che hai. Non la possiedi. E’ qualcosa che vedi. Qualcosa che ti abbraccia da fuori. Un abbraccio che oggi c’è e domani può non esserci»… Forse Giuseppe Arbia, con la voce sommessa della memoria, dentro la stritolante ossessione del dubbio, ci indica, in fine, quell’abbraccio per sempre e per oggi, dentro il mare sconfinato di un orizzonte. Dall’Introduzione di Fabio Pierangeli La Fin du millénaire è stata rappresentata per la prima volta il 13 dicembre del 2008 al teatro Foce di Lugano dalla compagnia di Manuela Bernasconi.
Giuseppe Arbia (Roma, 1958) è Professore Ordinario di Statistica Economica. Sempre per i tipi di Nuova Cultura nel 2005 ha pubblicato la raccolta di opere Solo un istante: e altri drammi teatrali. Per il teatro con la Compagnia “Palcoscenico ’95” di Pescara ha scritto adattamenti e messo in scena, come attore e come regista, diversi lavori tra i quali Camere da Letto di Alan Ayckborne, Ma e Dio di Woody Allen, I fisici di Friedrich Durrenmatt e Snaps Provolone: o dell’impossibilità di essere onesto tratto da un lavoro di Claude Magnier. Con altre compagnie teatrali ha portato in scena La bottega dell’orefice di Karol Wojtyla e Il soldato spaccone di Plauto. Ha anche scritto numerose novelle alcune delle quali sono incluse nella raccolta L’ultimo Block Notes di Italo Calvino pubblicata da Nuova Cultura nel 2006.[:en]… Nel labirinto di personaggi costruito da Arbia trovo ben delineata la demolizione di luoghi comuni deleteri, attraverso la straniante presenza a cornice della storia, di un coro tutto moderno e contrapposto: da un lato i borghesi, tranquilli del proprio bisogno e del proprio consumo, dall’altra i miseri e i diseredati, gli ultimi, i Reietti, dentro il confine di un’ansia cupa, certo vibrante della ricerca del senso di ogni gesto, che non si stacca dal cuore. Nebbia e desiderio, mentre gli occhi cercano invano il corpo di un volto nel cui sguardo riposare, senza dover pensare, agitare acque, ma solo nuotare verso la spada del sole, alba e tramonto di un unico luminoso orizzonte possibile… Di Giuseppe Arbia, personalità eclettica, cultore di varie arti, fine scrittore di racconti, ma di professione brillante studioso di Statistica, tra i più giovani Ordinari della sua materia, ho apprezzato con sincera meraviglia i quattro testi di Solo un istante (pubblicati da Nuova Cultura, n.d.r.), in particolare quello eponimo, profondo, tragico, con un agile e sintetico meccanismo teatrale e con l’occhio di bue puntato su monologhi di grande efficacia e rispetto del rito della scena, lancinanti e decisi come lame… In questo testo, più articolato e ambizioso, incastrato su più piani, con lo straniamento onirico, luci e ombre fin dal denso incipit, rifluisce la tematica centrale di Solo un istante: come i cavalieri della tavola rotonda, i personaggi, in una maturità difficile, nel deserto dell’esistenza comprendono di aver perso le ardite speranze della giovinezza. Per lo più le hanno sepolte e soffocate con vari impegni e situazioni, dal lavoro alle donne. Alberto, resta, invece, ancora in cerca della promessa di una dimora… Lancinante torna il grumo espresso dal titolo dell’altra raccolta: l’istante di un incontro sconvolgente in un normalissimo particolare di esistenza, qui ripresentato con i toni ossessivi che potrebbero ricordare da lontano tematiche di un certo teatro novecentesco soprattutto francese (ma in Italia con Betti e Fabbri) di tragico cristiano: «Non so, vorrei credere. Vorrei continuare a credere. Come ho sempre fatto tutta la vita. Ma poi la vita ti cambia. Ti mostra tante cose che non capisci, ti fa venire tanti dubbi. Vedi, la fede non è qualcosa che hai dentro, non è neanche qualcosa che si può dire che hai. Non la possiedi. E’ qualcosa che vedi. Qualcosa che ti abbraccia da fuori. Un abbraccio che oggi c’è e domani può non esserci»… Forse Giuseppe Arbia, con la voce sommessa della memoria, dentro la stritolante ossessione del dubbio, ci indica, in fine, quell’abbraccio per sempre e per oggi, dentro il mare sconfinato di un orizzonte. Dall’Introduzione di Fabio Pierangeli La Fin du millénaire è stata rappresentata per la prima volta il 13 dicembre del 2008 al teatro Foce di Lugano dalla compagnia di Manuela Bernasconi.
Giuseppe Arbia (Roma, 1958) è Professore Ordinario di Statistica Economica. Sempre per i tipi di Nuova Cultura nel 2005 ha pubblicato la raccolta di opere Solo un istante: e altri drammi teatrali. Per il teatro con la Compagnia “Palcoscenico ’95” di Pescara ha scritto adattamenti e messo in scena, come attore e come regista, diversi lavori tra i quali Camere da Letto di Alan Ayckborne, Ma e Dio di Woody Allen, I fisici di Friedrich Durrenmatt e Snaps Provolone: o dell’impossibilità di essere onesto tratto da un lavoro di Claude Magnier. Con altre compagnie teatrali ha portato in scena La bottega dell’orefice di Karol Wojtyla e Il soldato spaccone di Plauto. Ha anche scritto numerose novelle alcune delle quali sono incluse nella raccolta L’ultimo Block Notes di Italo Calvino pubblicata da Nuova Cultura nel 2006.